destionegiorno
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Sono Moreno nella vita reale e never- more (assoluta negazione) quando esprimo emozioni in parole. Nato a Bologna nel settembre del 1959, vivo nelle dolciniane valli della Valsesia. Ottimo gourmet amo la buona cucina abbinata a buoni vini. Questa mia passione culinaria è stata per un importante ... (continua)
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Amore mio
con queste parole affidate
al vento
ti mando a dire
del tempo che scorre
e di quando
avvolto dalla fragranza di te
m’abbandono in quel sorriso
d’aulentissima fresca rosa
scapicollandomi come fanciullo
che rincorre nel refolo
colorati... leggi...
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Nacqui
inusitato frutto
strappato dal ramo
Crebbi
dal bocciolo che non schiude
nel tempo villano
Ebbi
i natali d’un luogo
sperduto e ignorato
e fronte la... leggi...
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Allungami il braccio
affinché possa giungerti li
dove il tuo essermi dista
e il mio esserti manca
appartenendomi al girasole
che storcendosi la caule
ti rincorre invano
Sforza il vento sospingendoti
nube nel mio cielo
sciogliendoti pioggia del... leggi...
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Con mani ritorte traccio l’epigramma
della non vita che lepida
distorce la mia anodina mente
suggerendomi scenari grotteschi
ancorati a travisati panorami
di delirante antinomia
Ivi il mio discernimento barulla
nella babele celebrale
generata... leggi...
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Le mie gambe immobili colonne di marmo,
la pavidia che m’immolle e mi frena,
il treno è partito e io calpesto il selciato.
Il salato degli occhi traccia una smorfia sul mio volto,
fragile donna che non conosci perdono
ti dono questa faccia abrasa... leggi...
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L’orma della tua consistenza
impressa a fuoco sulla mia pelle
trasla la complessione
nell’aulenza del tuo delta
Nell’espanso dei condivisi fremiti
l’ardore veste di lussuriose movenze
il lambirsi d’adamitici
bramosi corpi
In un crescente desio... leggi...
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Le tue labbra di fresco pesco
si posarono lievi
sui miei occhi di mare
sgravandone il... leggi...
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Guardi quel maschio ancestrale, epicureo gaudente fra le tue calde braccia di messalina,
divenire asceta virtuoso nel baciare i propri figli e la madre di essi.
Come fragile anfora dall’apparente durezza colma di inezia
in ogni donna non consanguinea... leggi...
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Nel giovane leone
la rabbia e il disprezzo
esondano dal centro come acqua pazza
e come l’acqua pazza
dopo la mareggiata torna nel mare
la rabbia e il disprezzo
rovinano nel tracotante cuore
Il vecchio con un annoso vomere
traccia solchi... leggi...
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Senza te sarei stelo senza corolla,
sterile caule privo di umbellato,
fastello inaridito e spinoso tenuto avvinto da una lurida sagola,
peduncolo mozzato, ricco solo di spine adunche,
orfano del colore negato.
Senza te sarei solo un uomo condannato... leggi...
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Caro padre vi scrivo
Caro padre, vi scrivo per dirvi di noi e dei vostri nipoti, che mai avete voluto conoscere e incontrare. Elvira è la più piccola, Italo e Livio sono i suoi fratelli maggiori. Elvira purtroppo non si sente bene da giorni. E' bella Elvira, somiglia molto alla mia signora madre. Italo e Livio sono due ometti sani e forti ma, ahimè, ancora troppo piccoli per aiutarmi ad accudire le bestie o a lavorare nei campi. L'inverno sta arrivando e il freddo si fa ogni giorno più intenso. La poca legna che ho raccolto nei mesi scorsi temo non sia sufficiente allo svernare, come poca è la farina nella madia e poche le patate e le mele ricoverate in cantina. Elvira negli ultimi tempi si presenta pallida e afflitta da una debolezza che non accenna ad andarsene, nonostante le riservi un ovetto fresco e una maggior razione del latte della nostra capra. Certo la zuppa sarebbe più sostanziosa se avessi modo di bollirci l'ossa d'una vitella o d'arricchirla con un buon pezzo di lardo spezzettato. Avessimo ancora la vacca nella stalla il latte non mancherebbe, come non mancherebbe un pezzo di formaggio e perché no, un poco di buon burro o di panna da spalmare sul pane. Padre, vi scrivo perché ho bisogno di dirvi di noi e delle difficoltà che incontra una donna sola senza un uomo accanto. Già, sola da quando Francesco, il padre dei vostri nipoti e l'uomo che mai avete accettato come genero ci è stato strappato. La sera, come ora sto facendo a voi, gli scrivo delle interminabili lettere che seppur spedite temo non gli giungano. Scrivo consumando i resti di quelle candele che non so come rimpiazzare e a tratti me ne vergogno. Dovrei risparmiarle, ma scrivergli mi aiuta a sentirlo accanto e allevia in parte le fatiche della giornata. Con il calar del sole ho modo di lasciare parlare il mio cuore, quando i bambini dormono e tutto tace, quando mai potrei altrimenti. Certo che a lui non dico delle difficoltà e delle fatiche che schiacciano le mie fragili spalle di donna. Gli dico che i bambini crescono sani e forti chiedendo quando torna babbo. Gli racconto della vite colma di profumati graspi, delle grosse patate che cavo dal campo e della ricchezza delle spighe, sì pesanti da piegarne il fusto. Lo vennero a prendere pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra alla Francia. Era un tiepido pomeriggio di giugno del 40. Arrivarono e caricarono il mio Francesco sulla camionetta dicendogli che la patria lo chiamava, e da allora un'unica lettera poi più nulla. Sono più di due anni che sola mi devo occupare oltre che dei figli anche del campo e di quel che rimane delle bestie. Quello che ne rimane già, in quanto la vacca e il maiale se li sono presi, come molte delle galline e tutti i conigli.
Padre, urlo con tutto il fiato che mi resta la rabbia e disperazione di donna e madre. Perché io e altre come me, non siamo altro che fragili creature che non vanno alla guerra ma che la combattono in casa senza imbracciare un fucile, senza decorazioni sul petto. Nelle nostre mani non v'è né il moschetto né la baionetta perché in una teniamo salda la vanga e nell'altra un panno col quale asciugare le lacrime d'un bimbo che ha fame e freddo. Nel nostro petto non medaglie ma l'assillo di non avere la forza di governare il vomere e di rimediare il raccolto. Nel nostro ventre a volte la vergogna. Nel ventre di vostra figlia l'orma della sudicia mano del Podestà che profittando vile della mia condizione di donna sola, s'appellò munifico nel lasciarmi la capra privandomi oltre che della vacca e del maiale, del mio onore. Neppure la consolazione della messa mi resta padre. Non mi reco più in chiesa, in quanto incapace di affrontare il sogghigno dell'immondo che certo dell'impunità che la sua carica concede, violò vostra figlia.
Padre, la guerra sporca le mani degli uomini di sangue pregnando luttuosa madri e mogli dai palmi colmi di lacrime e dolore. La guerra è per gli uomini la sopravvivenza del singolo e la vittoria dei molti… negli occhi di una donna v'è solo la sconfitta d'aver combattuto una recondita guerra per la sopravvivenza di molti. Non v'è medaglia né menzione, monumento o lapide che celebri l'abnegazione delle donne, e di questa nuova guerra non ve ne saranno, perché il coraggio di noi donne è forgiato sull'amore e non sul livore. Padre vi supplico aiuto e accoglienza riammettendoci sotto il vostro casato, non per la figlia vostra qui disposta all'abiura della da voi vituperata mia scelta ma per il sangue del vostro sangue. Perché Elvira Italo e Livio non sanno cosa è la guerra, ma stanno imparandone la fame e il freddo ed io questa guerra degli uomini non voglio sia pagata dagli immaturi nipoti vostri.
Figlia vostra ossequente
Clotilde |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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«L'opera pittorica raffigurata è di Andrew Wyeth.» |
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bellissima Moreno (redent Enzo Lomanno)
Stupenda...complimenti per la speciale sensibilità (Triste)
Grande letteratura, grandissima! Complimenti!!! (Claudio Toccafondi)
piaciuta,piaciuta tanto,bella davvero (Anna Atzeni)
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